Quando nel 1992 Beck si trova a casa del produttore Carl Stephenson è ancora ben lontano dal diventare una star riconosciuta a livello mondiale: non è ancora uno dei più noti seguaci di Scientology, né è comparso come cartone animato in Futurama e nel film The Circle con Tom Hanks e Emma Watson. È invece da poco rientrato a Los Angeles, per timore di dover passare un altro inverno da musicista senza dimora a New York. Passato da una parte all’altra del continente americano, la sua vita non cambia: si esibisce in piccoli locali e tira avanti facendo lavoretti pagati con il minimo salariale.
Assunto da un videonoleggio, si occupa dell’ordinamento alfabetico di film pornografici, finché non arriva una svolta del tutto inaspettata. Tom Rothrock, proprietario dell’etichetta discografica Bong Load Records, intravede in lui del potenziale e gli propone di registrare un pezzo. È per questo che nel 1992 Beck si trova a casa di Carl Stephenson. Beck si mette a suonare alcuni dei suoi brani, il produttore registra pezzi di chitarra in stile blues e aggiunge un campionamento di batteria pescato dalla cover realizzata da Johnny Jenkins di I Walk On Gilded Splinters di Dr. John.
Arriva il momento di scrivere un testo per la canzone; Beck si mette a improvvisare rappando, anche se non è esattamente il suo forte e Carl Stephenson, che lavora per un’etichetta hip-hop, sa riconoscere al volo un rapper scarso. A questo punto - vuole la leggenda - Beck canticchia per la prima volta “I’m a loser baby, so why don’t you kill me”, vale a dire i cinque secondi di ritornello che gli sarebbero rimasti incollati addosso per sempre. Dopo sei ore e mezza di lavoro, probabilmente uno dei migliori investimenti di tempo di tutti i tempi di tempo per ritorno in denaro, il brano è completato.
Il singolo Loser esce nel 1993, in una prima edizione di 500 copie e inizia presto a ottenere un buon numero di passaggi nel circuito delle radio universitarie. Nel 2015 esce il saggio Free, scritto da Stephen Witt e tradotto in italiano da Vincenzo Latronico, che fa capire molto bene come andassero le cose nell’industria musicale in un decennio di vacche grasse come i Novanta, attraverso il racconto della decadenza delle grandi major discografiche e dell’esplosione del fenomeno della pirateria online. Un buon numero di passaggi in radio erano più che sufficienti perché una major intravedesse un buon investimento e non perdesse tempo ad aprire il portafoglio, offrendo un ricco contratto discografico.
Per la Geffen mettere sotto contratto Beck fu davvero un buon investimento e non ci volle molto a capirlo: Loser, ripubblicato una seconda volta nel 1994 per spianare la strada al disco in arrivo Mellow Gold, raggiunse la vetta della classifica alternative il 5 febbraio, prendendo il posto di All Apologies dei Nirvana, e la conservò per ben cinque settimane. Se la storia del ritornello di Loser è vera, il successo di questa canzone è anche la storia di un clamoroso fraintendimento: con quella frase Beck intendeva soltanto ammettere di non avere grandi capacità come rapper, non cavalcare l’attitudine auto denigratoria di quegli anni che, tuttavia, quelle parole andarono a intercettare.
Un famoso esempio di questa attitudine è Creep dei Radiohead, la cui popolarità divenne presto ingombrante per i suoi stessi autori. Sia Beck che la band di Oxford arrivarono a detestare le loro prime hit, perché considerate non più rappresentative del proprio percorso artistico. C’è qualcosa che richiama alla mente i classici dell’horror e del decadentismo, qualcosa capace di mettere d’accordo Frankenstein, Il giro di vite e Il ritratto di Dorian Gray in queste opere, divenute autonome al punto tale da desiderare di rivoltarsi contro i propri creatori, minacciando di continuare a perseguitarli per tutta la vita. Naturalmente hanno vinto le canzoni, entrambe tornate da diversi anni nelle scalette dei concerti.
Resta da spiegare cosa abbia reso una canzone come Loser così potente, ma non è facile. Così come oggi non è facile rendere conto del fatto che nei Novanta quella del loser non fosse tanto una tematica, quanto una vera e propria estetica. Potrebbe essere utile, probabilmente, inquadrarla come un’eredità del grunge: un modo per rendere più innocua una forte negatività usando gli strumenti dell’ironia e dell’assurdo; una chiave per prendere una pulsione di autodistruzione e trasformarla in scazzo, con sane dosi di umorismo e consapevolezza.
Largo dunque a tutto ciò che è storto e privo di senso: l’esempio più fulgido ha come protagonista un giovane Beck intervistato da Thurston Moore dei Sonic Youth su MTV. In pochi celebri minuti i due sono protagonisti di una serie di scambi talmente fuori di testa da avere come unica spiegazione plausibile la data, che è ancora una volta il 1994, con Mellow Gold e Loser freschi di stampa. Thurston Moore chiede a Beck cosa si prova dopo un successo del calibro di Loser e questi risponde che è “come fare surf su una perdita di petrolio”. Thurston Moore si informa sull’età di Beck - 23 anni - e gli dice che dimostra almeno 45 anni (Beck nel video sembra un sedicenne).
Nel 1994 quell’intervista era perfettamente normale, o forse no, ma era comunque inserita in un contesto di produzioni indipendenti ricche di personaggi che facevano a gara a quanto poco gliene importasse e a quante droghe sembrassero aver assunto fino a un secondo prima. Un vasto campionario lo offriva il cinema, pronto a celebrare la figura del loser, cioè del perdente, e quella dello slacker, ossia del fannullone, con autori come Richard Linklater, Harmony Korine e Kevin Smith (Clerks è del 1994), ma si perde pure il conto delle volte in cui è Jim Carrey, nei panni di Ace Ventura, a ricorrere a quel termine.
Del resto il cinema fa capolino all’interno della canzone stessa quando si sente una voce recitare “I’m a driver, I’m a winner, things are gonna change, I can feel it”. Si tratta di un campionamento dal film Kill The Moonlight del regista Steven Hanft, amico di Beck, che racconta la storia di un aspirante pilota destinato a restare un loser. È lo stesso Hanft a chiudere in qualche modo il cerchio, girando lo strano videoclip di Loser - e poi diversi altri di Beck, che si avvarrà anche di registi come Spike Jonze e Micheal Gondry – includendo pure alcune sequenze del proprio film.
In seguito Beck avrebbe segnato i Novanta con Odelay e Mutations, ma nulla avrebbe più avuto l’impatto dell’ironica e spontanea ammissione di non poter mai essere un buon rapper.
